Gestire le fonti - ovvero navigare felici nella complessità del Web

di Bruno Mastroianni


 Uno dei potenziali rischi del Web, lo sentiamo ripetere spesso, è la disinformazione. Notizie incomplete, false, manipolate, vengono segnalate, condivise, rilanciate e sembrano impossibili da fermare. Intendiamoci: da sempre nella società umana le informazioni sbagliate e il “sentito dire” hanno caratterizzato l’opinione pubblica. Ma un tempo erano proprio i mass media a porre, per così dire, un argine: i professionisti dell’informazione (i giornalisti) avevano tra i loro compiti quello di discriminare ciò che è attendibile e verificabile da ciò che era pura chiacchiera.

Il loro ruolo è ancora fondamentale, solo che oggi a portata di smartphone siamo proiettati in una conversazione globale a flusso costante, veloce e spesso sovraccarica. Ciò ci mette di fronte a una sfida personale: dobbiamo diventare capaci di discernere in modo autonomo. Casomai i giornalisti saranno un aiuto, ma non sono più quella voce esclusiva che in qualche modo ci poteva tenere al sicuro (a volte manipolandoci ancora più ferocemente, ma questo è un altro tema).

La capacità di districasi nella complessità
Sul Web c’è tutto e il contrario di tutto. Allora da dove partire? Dalle basi, cioè dalla gestione delle fonti. Questa competenza, che per un comunicatore professionista o un giornalista è il punto di partenza, deve diventare universale, come saper leggere e scrivere: così come insegniamo ai bambini l’alfabeto e la grammatica per renderli indipendenti, lo stesso dovremmo fare sull’uso delle fonti, visto che oggi le informazioni sono la materia su cui si gioca l’indipendenza sociale.

Agire su se stessi per primi per poi insegnarlo. Genitori, insegnanti, persone con ruoli sociali rilevanti, dovrebbero adottare questo “senso giornalistico” fondamentale per districarsi nella complessità. E poi dovrebbero trasmetterlo attorno a loro.

Qui propongo un elenco minimo di parametri per verificare l’attendibilità di un’informazione, sempre validi. Quando si adottano aiutano a sviluppare una forma mentis capace di distinguere in poco tempo le informazioni buone da quelle provvisorie, o almeno sospettare la presenza di una manipolazione.

Chi lo dice?

Le informazioni senza fonte sono da prendere con le pinze. “Dice che.. sembra che… a quanto pare…” sono espressioni apparentemente innocue, che usiamo quotidianamente. Ma se usate quando ci imbattiamo in un’informazione rilevante (perché ci interessa, ci riguarda, può cambiare qualcosa nella nostra vita, ecc.) dovremmo avere il riflesso automatico di chiedere: chi lo dice? L’80% delle bufale si smaschera a questo primo step: se non c’è fonte la cosa probabilmente è infondata.

Un caso tipico sono i testi che ogni tanto vengono attribuiti a personaggi famosi (ad esempio al Papa) senza alcun riferimento sulla provenienza o sulla pubblicazione. Basta la mancanza di questo dato a generare subito un primo sospetto.

La data 

La data dice molto di un'informazione, se non c'è bisogna dubitare
A volte la fonte è esplicita e anche buona ma ci si dimentica della data. Ho collaborato con un giornalista che quando trovava un foglio senza data lo buttava direttamente nel cestino senza leggerlo. Diceva: “senza data, senza senso”. Certo erano altri tempi ma anche oggi il criterio della data salva da situazioni imbarazzanti: ad esempio subito dopo gli attentati di Parigi è circolata una foto di un altro presunto attentato “parallelo” in Kenya. In realtà qualcuno aveva ri-postato su Facebook la notizia dell’attentato alla scuola di Garissa (avvenuto molti mesi prima) solo che in pochi si sono presi la briga di leggere la data e, trasportati dal sentimento di orrore, ci sono cascati, rilanciandolo come attuale.

Le bufale poi hanno una caratteristica: sono cicliche e si presentano con date fantasiose, spesso aggiornate, altre volte no. Basta risalire all’elemento temporale e già si può avere contezza di una notizia riciclata ad arte.

Verificabilità

I primi due criteri sono quasi una premessa, senza quelli non si può nemmeno iniziare a prendere sul serio un’informazione, ma se l’informazione ha fonte e data arriva il punto fondamentale: è verificabile? Ciò che non è verificabile non andrebbe mai preso per buono. Si può prendere per dubbio, provvisorio, ma mai accordargli credito definitivo.

La verifica fa rimanere calmi nelle tempeste informative
È uno sforzo mentale importante. Soprattutto quando ci troviamo in momenti di confusione informativa per qualche evento eclatante, ad esempio attentati o disastri: numero di vittime, responsabili, circostanze, il turbine di informazioni che si contraddicono l’un l’altra può farci perdere il contatto con la realtà.

Il criterio della verificabilità fa rimanere calmi: tutto si prende in considerazione ma finché non è verificato non lo si dà per buono. Così come se qualcosa è inverificabile: daresti mai credito a qualcuno che ti dicesse “è così fidati non posso dimostrarti perché?”. Le notizie non verificabili non vanno prese per informazioni ma per ipotesi, idee, suggestioni, che lasciano il tempo che trovano.

Valutare l’autorevolezza

Le fonti non sono tutte uguali. Le verifiche non si equivalgono. Qui occorre introdurre la dimensione qualitativa. A che titolo qualcuno sta dando una certa informazione? Qual è la sua posizione? La sua competenza rispetto al tema? Chi gliela riconosce? Qual è la sua storia precedente (spesso i bufalari sono seriali)? Quale il contesto in cui si muove?

È chiaro che qui c’è un lavoro un po’ meno immediato dei primi tre punti precedenti. Ma non è così distante dalla vita di tutti i giorni. Pensiamo a quando cerchiamo di scegliere un albergo o un ristorante in base alle recensioni. Se ci fate caso viene spontaneo cercare di risalire a più dati possibile sul recensore: è giovane? è vecchio? viaggia spesso? ha gusti diversi dai miei? ecc. È un piccolo lavoro di valutazione che siamo disposti a fare quando dobbiamo pagare qualcosa... dovremmo farlo a maggior ragione quando qualcuno ci offre gratis una notizia che può cambiare il nostro modo di vedere il mondo.

Confrontare


Confrontare ci dà una visione più ricca della realtà
Una delle cose migliori da fare è confrontare. Spesso ci si ferma al primo racconto del fatto (il primo link che ci appare sulla timeline di un social network). Ma non ci vuole molto a vedere se anche qualcun altro ne ha parlato (banalmente basta una veloce ricerca su Google). Spesso dal confronto dei racconti si traggono molti dati sulla provenienza dell'informazione, su ciò che è verificato o no, l’autorevolezza, ecc.
 Il confronto senz’altro smaschera le bufale, ma anche una funzione costruttiva. Avere sempre disponibili più racconti dello stesso fatto è un’opportunità: prenderli in considerazione ci restituisce comunque una visione della realtà più ricca e completa.

Curare i propri collegamenti

Tutti i criteri sopra descritti sono il “gioco in difesa”. Indispensabile ma non sufficiente. La complessità del nostro mondo richiede una vita attiva sul Web e i social che ci porti a curare questi spazi per avere input e informazioni rilevanti  (anche lo svago può essere rilevante o scioccamente inutile). Fa parte di questo atteggiamento da attivi digitali il lavoro di costruzione delle proprie fonti.

Ogni buon giornalista sa che la sua rubrica è lo strumento di lavoro più prezioso. Tutti oggi - ormai inseriti nella conversazione globale - devono maturare questa verità. Noi abbiamo nel Web e nei social una gigantesca rubrica di contatti. Tra questi dobbiamo individuare gli interlocutori più seri, affidabili, significativi, che parlano dei temi che ci interessano e ci stanno a cuore.

Anche qui non bisogna pensare a un lavoro titanico, è qualcosa a portata di mano: basta iniziare a curare le proprie timeline, chi seguire e chi no, utilizzando gli strumenti che i social stessi ci mettono a disposizione. Sarebbe un guaio invece se lasciassimo i nostri spazi al caso: ci ritroveremo in balia dell’ultimo che la dice più forte. Come avveniva in epoche decisamente più primitive.