Se lo contesti lo diffondi - sul Web serve più inventiva e meno invettiva

di Bruno Mastroianni



"Leggete qui, è ora di finirla con queste cose..." subito sotto il link al classico video/articolo/post con qualche contenuto deprecabile. Segue una valanga di like, condivisioni e commenti altrettanto indignati, pronti alla "battaglia culturale" contro quel contenuto.

Quante volte al giorno vediamo apparire qualcosa del genere sulla nostra timeline? È un riflesso spontaneo: riteniamo che per combattere qualcosa occorra anzitutto farla vedere, darla a conoscere, sensibilizzare. Vero. Peccato però che tale strategia di azione - ottimale nel precedente scenario mediatico - oggi ha l'effetto esattamente opposto.

Mentre infatti l'esercito di like e condivisioni dei "cavalieri della luce online" depreca e denuncia, dall'altra parte c'è un software di analytics che registra interesse e engagement attorno a quell'oggetto per poi finire davanti agli occhi di un social media manager che si convince di aver diffuso il tipo di contenuto giusto.

Un like: un voto

Stigmatizzare un contenuto è dargli una preferenza
Il fatto è che, per come funziona la Rete, quando interagiamo con un contenuto (perché mettiamo like, commentiamo o lo condividiamo), stiamo semplicemente esprimendo un voto di preferenza. Non importa se l'intenzione è di denunciare e stigmatizzare. Dal punto di vista di chi produce contenuti è un segnale chiaro, gli stiamo dicendo: "vai avanti così perché questa roba suscita una reazione". In fondo è su questo si basa il click baiting: suscitare indignazione, reazione, ribellione è il modo più a buon mercato per ottenere click, che sono il bene più prezioso online.

Quando eravamo in un sistema mediatico classico, in cui erano solo alcuni i detentori e gestori del flusso delle notizie e informazioni (le testate classiche), effettivamente la denuncia e l'indignazione erano uno dei pochi modi attraverso cui si poteva "far emergere" qualche malefatta che altrimenti sarebbe rimasta ignorata. Oggi è il contrario: creare engagement attorno a un contenuto negativo/immorale/ingiusto significa anzitutto contribuire alla sua diffusione e quindi incoraggiare chi lo ha generato a continuare in quella direzione. In poche parole: online contestare e denunciare equivale a dare forza e non a combattere.

Un esempio tra tutti. Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un post con scritto: "Prende a calci un bimbo perché mentre sta giocando fa cadere sua figlia... se sei contro i maltrattamenti dei bambini condividi questo video", a seguire il link al video. Tutti coloro che hanno messo like, commentato o condiviso questo post non lo hanno contestato ma hanno incoraggiato chi ha caricato il video sul Web a continuare su questa linea. Invece di protestare ogni interazione è stata una conferma: la violenza sui bambini online attira click (qui sotto il post).


La denuncia ha anche effetto sulle nostre timeline a causa degli algoritmi. Mentre facciamo l'invettiva - o mettiamo like su invettive altrui - stiamo dicendo all'algoritmo che quei temi deprecabili ci interessano e così il nostro assistente robotico tenderà a sottoporci cose analoghe. Stiamo insomma chiedendo noi stessi di fomentarci sentimenti negativi e reazioni polemiche.

Il potere dell'ignoranza

In realtà sul Web il potere di contestazione più potente è un altro: ignorare. Occorre riscoprire il potere dell'ignoranza: lasciar perdere contenuti negativi, obbrobri, immoralità, nefandezze, è il modo migliore per combatterli. Ciò che non riceve click, e non sviluppa engagement, online muore da sé.

Questo vale anche per le interazioni: quando riceviamo commenti volutamente polemici, il miglior modo di ricacciare la provocazione è quello di non rispondere. Rispondere infatti è dare visibilità all'altro: quando ingaggiamo con qualcuno uno scambio sui social, al di là di ciò che scriviamo, gli stiamo anzitutto dando lo spazio e l'attenzione di tutti quelli che sono collegati con noi. Occorre sempre rimanere lucidi e domandarsi se la questione posta merita tale opportunità, perché di questo si tratta.

Per ogni denuncia dieci proposte

"Si dovrà pure denunciare ogni tanto!" mi sento dire quando faccio questo ragionamento. È vero, talvolta ci vuole, ma quello che proporrei è un autocontrollo consapevole dello spirito di denuncia, proprio per evitare di diventare dei diffusori di nefandezze e immoralità che incoraggiano i produttori di contenuti deleteri.

Come ho già sostenuto altrove, a ogni denuncia che facciamo - che deve essere fatta solo quando veramente indispensabile - dovrebbero corrispondere almeno altri dieci contenuti successivi di proposta e costruttivi. Se tutti rispettassimo questa proporzione contribuiremmo a ripulire il Web di tanta immondizia che serve solo a rovinare l'ambiente.

Riflettere e rielaborare, non limitarsi a denunciare
Ma non basta la proporzione. Ci vuole anche impegno. Spesso infatti la denuncia è anche un modo a buon mercato per farci notare nella conversazione online. Sappiamo infatti che, solleticando le reazione dei nostri simili con contenuti di pura protesta, riceviamo un'immediata attenzione senza particolare sforzo. Molto più faticoso rielaborare, ripensare, ricostruire e offrire qualche spunto generativo di nuove idee, magari a partire proprio da un elemento negativo.

Più inventiva meno invettiva

Per farlo ci vuole fatica, cervello, impegno e anche un po' di pazienza: essere rilevanti richiede tempo, occorre cimentarsi e imparare dall'esperienza e dall'ascolto degli altri. Infine ci vuole anche una certa dose di umiltà: non è detto che dobbiamo sempre dire la nostra (pro/contro) su ciò che accade nel mondo, magari sapessimo limitarci a intervenire solo laddove possiamo portare un reale valore aggiunto a chi è collegato con noi.

Non è una questione morale ma tecnica: se sul Web stiamo solo in modalità reattiva o adattiva finiremo per abitare l'ambiente digitale in forma primitiva. Se invece vogliamo cogliere appieno la possibilità che la tecnologia ci offre di aprirci a nuove conoscenze, abbiamo bisogno di attingere alle nostre migliori capacità umane. Insomma online ci vuole più inventiva e meno invettiva.