I social gabbia dorata? Per fortuna abbiamo le chiavi per uscirne


di Bruno Mastroianni


Un post del blog di Luca De Biase (che consiglio di seguire sempre) mi spinge a scrivere ancora qualcosa su disinformazione, gabbie dorate e altri aspetti negativi dei social network di cui parliamo spesso.

De Biase passa in rassegna una serie di studi (particolarmente interessanti quelli di Walter Quattrociocchi di cui abbiamo già parlato)) che confermano la tendenza degli utenti online a rinchiudersi in bolle di opinioni omogenee polarizzate e impermeabili al confronto. Questa tendenza porta a un certo coefficiente di disinformazione giacché, quando si è in una cosiddetta echo chamber, le informazioni che si ricevono e si condividono tendono ad essere sostanzialmente omogenee e a confermare ciò che già si pensa.

Spesso è questa la vera radice della violenza a cui assistiamo nelle discussioni online: mancanza di informazioni attendibili e polarizzazione su posizioni inconciliabili sono il mix esplosivo che rende quasi ogni interazione un litigio inutile.

È successo anche con il terremoto: dopo poche ore dal disastro hanno iniziato a circolare le immagini false di crolli (risalivano a terremoti precedenti) e sono subito nate discussioni su presunti ritocchi alla magnitudo per evitare i rimborsi, le fantasie sulla prevedibilità dei terremoti, o la questione dei soldi del superenalotto da destinare alla ricostruzione che tecnicamente non si può fare (qui tutte le bufale).

Capire e decidere di agire

Di fronte a tutto questo serpeggia in vari ambienti una sorta di digi-scetticismo del tutto comprensibile. Dall'altra parte fa sorridere e sembra del tutto inadatto un ingenuo digi-ottimismo incapace di cogliere queste sfide. Come dice bene De Biase  il punto non è dichiarare internet fallita e non è neppure difenderla: il problema è capire che cosa succede, comprendere quanto sia importante e decidere di agire.

Come risposta vorrei proporre alcuni spunti. Li ho approfonditi nel mio testo sui dibattiti online contenuto ne La missione digitale (che ho curato con Giovanni Tridente, ed. ESC  2016). Quello che sostengo è che nonostante le criticità a cui la tecnologia può esporci, ad avere il controllo è sempre l'uomo. Anzi direi di più: il fatto che emergano fortemente certe bassezze non è che la dimostrazione che la tecnologia potenzia la natura umana (nel bene e nel male), perciò si tratta di darsi da fare affinché le altezze possano emergere con profitto per curare le derive negative.

In sostanza propongo quattro dimensioni che si dovrebbero curare sempre quando ci si muove online sui social e sul Web. Dimensioni che possono aiutare a rimanere sempre in possesso della propria umanità, soprattutto nel momento in cui la tecnologia ci abilita aumentando a dismisura la nostra capacità di comunicare e entrare in relazione con altri.

La quantità

La prima dimensione è quantitativa e riguarda ciò che pubblichiamo in prima persona. Dovremmo avere una certa sensibilità per l'ecologia del Web, per mantenerlo pulito. Da questo punto di vista dovremmo sforzarci di proporre invece di inveire, di elaborare invece di gridare, a ispirare invece che denunciare. Il Web è pieno di litigi, denunce, polemiche, che non fanno altro che autoalimentarsi portando a un inutile nulla pieno di acredine. Il primo riflesso non può che essere uno e semplice: smettere di contribuire all'urlata collettiva. Invece di aggiungere polemica a polemica, soprattutto quando abbiamo qualcosa da ridire, cerchiamo di farlo in un modo più evoluto, lavorandoci su. Per ogni polemica che non lanci il Web è più pulito. Per ogni proposta intelligente che offri, contribuisci alla sua salute.

La qualità

La seconda dimensione è quella della qualità. I social ci spingono a cercare la popolarità, inutile negarlo o opporsi ciecamente. Questa ricerca, che è un riflesso umano, va solo educata. Non tutti i like sono uguali. Esistono "capipopolo" i cui post hanno centinaia di like che però sono accordati solo da persone omogenee che già la pensano allo stesso modo. Non sono un riconoscimento della bontà del contenuto ma un semplice attestato di appartenenza alla stessa bolla. La parte più bella della comunicazione invece è farsi capire dall'altro, dall'estraneo, da quello che non è "dei mei". Dovremmo imparare a cercare la qualità dell'engagement: un like di una persona lontana vale più di 100 like automatici dei supporter, un rilievo intelligente vale mille "sono d'accordo", interagire con chi la pensa in modo diverso è molto più stimolante che farsi eco l'un l'altro sempre sulle stesse cose.

Lo spazio

Ci vorrebbe un vero e proprio training costante alla cura delle timeline e dei News Feed. È vero gli algoritmi hanno le loro regole e tendono a compiacerci e a offrirci spunti che confermano il nostro comportamento. Ma siamo noi i titolari del nostro agire. Se cerchiamo apertura e confronto, se gestiamo bene i vari strumenti (come il "chi vedere per primo" di FB, o le liste e le notifiche di Twitter) possiamo essere in contatto soprattutto con chi può aiutarci a aprire gli orizzonti, possiamo far sì che il nostro spazio online non sia una gabbia ma una vera piazza dove incontriamo veri interlocutori (e non una curva di ultrà che fanno il coro).

Il tempo

Questa è la dimensione più importante. È la dimensione dove le relazioni maturano qualità. Online dovremmo affidarci a ciò che dura (o può durare) nel tempo, con un po' di visione e di distacco dall'ultima novità dell'attualità che talvolta ci spinge a intervenire di fretta e in modo istitntivo. La dimensione del tempo ci spinge anche a dedicare il tempo: dare risposte ponderate e preparate, riflettere sugli spunti che ci arrivano nei commenti, e così via. Tutte le volte che investiamo tempo entriamo in una modalità online più evoluta e consapevole. Si tratta di avere un po' di senso della proporzione e della realtà: non sarà certo con un post su FB o un Tweet che potremmo risolvere questioni complesse tutte e subito, si può iniziare a discutere e poi tornarci in un secondo momento, si può imparare ogni volta qualcosa in più, si può tornare sui propri passi. Il tempo è vita, anche nella vita digitale.

Le chiavi della gabbia dorata

Sono solo spunti e per nulla completi. Quello che è essenziale a mio avviso è l'urgenza di un'azione educativa e culturale a tutti i livelli che sensibilizzi a un comportamento consapevole ed evoluto online. A scuola oltre a leggere, scrivere e far di conto, si dovrebbe anche educare a interagire sul Web. Così nelle aziende, nei luoghi di lavoro, nella vita pubblica, in famiglia, ovunnque.

Ha ragione Walter Quattrociocchi quando esprime perplessità sull'efficacia delle campagne di debunking o dei miglioramenti negli algoritmi di Facebook e Google. Non bastano a risolvere disinformazione e polarizzazioni. Io aggiungo: questi atteggiamenti deleteri sono insiti nella natura umana, non possono essere eliminati da procedure o metodologie automatizzate.

L'unica strada è la solita, quella classica dell'educazione: tirare fuori dall'uomo ciò che è il meglio dell'uomo. La sfida del Web non è tanto trovare modi per eliminare le gabbie dorate, quanto quella di offrire a ciascuno le chiavi per poterne uscire.

Con quelle chiavi in tasca ci nasciamo in quanto esseri umani, basta solo accorgersi di averle e desiderare di usarle. E magari iniziare anche a guardarsi attorno per liberane altri.